L’occhio
del russo ingrassa la maschera
(...sperando
che il vecchio proverbio sull’occhio del padrone e il cavallo
appartenga ancora al vocabolario collettivo...)
Non
si può negare che il più importante impulso storico al recupero
moderno della Commedia dell’Arte sia avvenuto in Russia, ai tempi
di Stanislavskij, Mejerchol’d e Vachtangov, per citare solo i più
noti tra i grandi inventori degli studi per la preparazione
professionale dell’attore.
Per
loro, la Commedia dell’Arte era un indice simbolico per la
prospettiva del rinnovamento del lavoro “libero e vero”
dell’attore e insieme una riserva di componenti d’arte ancora
perfettamente utilizzabili per la contemporaneità del teatro e della
cultura.
Oggi,
che i risultati di quei maestri hanno influenzato tutto il mondo e
fortunatamente sono stati sede di continuo progresso anche in patria,
la percezione che i professionisti della scena russa hanno della
Commedia dell’Arte contribuisce decisamente a comprenderne
l’essenza più vera. Di seguito, direttamente dalla terra russa,
alcune riflessioni degli insegnanti del prossimo Masterclass 2018.
" La
maschera è una cosa antica. Per me è molto interessante e curioso
osservare quello che succede agli attori di oggi , lavorando con la
maschera. Non è una faccenda semplice, sappiamo che ci vuole tanto
lavoro sul corpo: scegli qualche gesto e continui, finché non trovi
un certo ritmo e intanto il corpo diventa il tuo strumento da
suonare. Ed è proprio questo che mi interessa molto, come partendo
dal corpo, da un gesto fisico, pian piano si cominci avere le
risposte anche da dentro; come la tecnica esterna provochi la
fantasia dell’attore , formi un’immagine che comincia a crescere
e, a un certo punto, ci si ritrovi in questa immagine: la voce va a
corrispondere a gesti e posture... e il pensiero pure. E alla fine
anche il nostro caro io. Non è più io, ma
“quell’altro”.
Difficile,
è poi conciliare questo processo con i testi e la drammaturgia. Ci
vogliono mesi, a volte anni. E’ un lavoro al setaccio, devi trovare
il singolo granello, il nucleo del carattere del personaggio e poi
lasciarlo vivere. E all’inizio c’è tutta questa fatica e questo
“buio” nell’indossare la maschera sul corpo.
In
questo senso, dalla Commedia dell'Arte si può sempre apprendere
qualcosa di molto importante per il mestiere. Il Teatro delle
Maschere può sviluppare in generale la capacità di recitazione, ti
aiuta anche a “riempire” le immagini paradossali e complicate di
certi registi di oggi. Nel mio metodo di insegnamento, chiamo questo
viaggio di riempimento sincero dell’attore verso qualsiasi forma
esterna “processo di re-incarnazione”. Ci vuole energia, sia in
senso qualitativo (l’energia giusta) che in senso quantitativo (è
veramente duro). Ci vuole libertà: nessuno può dare obblighi non
pertinenti a questo processo di riconquista da parte della vita. E
dunque ci vuole rispetto, anche da parte dei registi a cui facevo
cenno poco fa.
Rimango
tuttavia consapevole che questa strada non faccia per tutti. Come
diceva Vachtangov, gli attori si dividono in tre categorie: quelli
che riescono a partire dalla forma tecnica esterna, quelli che
possono partire solo da dentro, e quelli che ce la fanno in tutti e
due i modi..."
Andreij Tolshin
" Il
primo Masterclass di Commedia dell’Arte cui ho partecipato è stato
in Siberia, nel teatro dove lavoravo. I docenti erano Claudia Contin
Arlecchino e Ferruccio Merisi, con spettacoli e attività
pedagogica. Devo confessare che dopo la prima lezione ho pensato:
"Sì, interessante e divertente, ma questo non è il mio teatro.
Assolutamente no! Questo è pura illustrazione. Io sono una vera
attrice russa, sono abituata a recitare come ho imparato nella mia
Università (Accademia), secondo i dettami del nostro grande teatro
psicologico. E poi, come posso essere vuota? Dov’è il contenuto?
Come può essere che ci sia soltanto la forma?"
Dopo
un po’ di tempo non solo ho scoperto che mi sbagliavo, ma anche
tutta la mia visione, tutta la mia comprensione di che cosa vuol dire
essere attore, è cambiata. Ed è successo senza la mia volontà: le
forme che avevo appena assaggiato e che mi sembravano vuote, dopo un
po’ di lavoro hanno iniziato a restituirmi nuovi pensieri e nuovi
modi di incontrare sentimenti ed emozioni.
C’è
una condizione che permette questo processo. La “loro” Commedia
dell'Arte (...che adesso è quasi anche la mia, essendomi trasferita
a Pordenone) è talmente professionale - precisa, ben costruita come
lingua, infinitamente interessante nei colori e nei dettagli, ricca e
generosa e insieme molto esigente - che provoca al massimo grado la
tua intelligenza creativa.
E,
a poco a poco, inizi a pensare in questa nuova lingua.
Se
dovessi dare un nome, o inventare una formula per descrivere questa
condizione, direi che si tratta di “bellezza+matematica”. La
bellezza e la precisione millimetrica delle posture, dei gesti e dei
movimenti, non mentono sul piano umano e ti portano a conoscenze e
consapevolezze che ancora non avevi. L’energia, che sembrava
bloccata, riprende a scorrere e produce una bella elettricità, ricca
di tutta l’umanità e di tutta la psicologia di cui hai bisogno e
di cui ha bisogno anche il pubblico.
E
così, tutto quello che avevo studiato ha iniziato ad avere una luce
nuova. La “mia” Commedia dell’Arte non ignora quanto fatto in
passato, ma anzi lo valorizza. "
Daria Sadovskaia